Con la consegna dell’Orso d’oro al film “Alcarràs” della regista spagnola Carla Simón si è chiusa la 72° Berlinale, un’edizione in qualche modo speciale, che ha fortemente voluto riportare il pubblico nelle sale e segnare una rinascita dopo l’edizione “virtuale” del 2021. Una Berlinale che ha rievocato lo spirito originale di questo festival del cinema, nato pieno di speranze in mezzo alle macerie di Berlino, 1951.

Per scoprire come il festival meno glamorous del mondo sia diventato il più amato dalla gente, per il numero di partecipanti, proiezioni e sale cinematografiche coinvolte, voglio ripercorrere con voi la storia della Berlinale (e dei suoi Orsi, d’oro e d’argento, di cristallo e di peluche).

La storia della Berlinale in 10 fatti curiosi

1 – Il festival sognato da un soldato

Ottobre 1950: un ufficiale americano di stanza a Berlino Ovest, Oscar Martay (1920-1995), propone di organizzare il primo Festival Internazionale di Cinema a Berlino per l’anno successivo. Una bella sala ancora in piedi c’è, il Titania Palast, i soldi ce li metterà l’esercito americano e siccome allora non c’erano blocchi ai confini i cittadini di Berlino Est potranno assistere alle proiezioni a prezzo ridotto nel Cinema Corso di Wedding.

In una città a pezzi, abitata da una popolazione che doveva fare i conti con il proprio amarissimo passato, il festival si propone come una passerella verso un mondo nuovo e finalmente libero. O forse solo una serata spensierata prima di tornare a spostare i detriti e le bombe inesplose.

2 – Il primo Orso d’Oro? A “Cenerentola” ovviamente!

Trovo ci sia qualcosa di poetico in questa assegnazione voluta dalla giuria popolare: la storia di una fanciulla vestita di stracci, abusata dalla matrigna e dalle sorellastre, ridotta a vivere nella soffitta di casa sua (in mezzo a piccioni e topi… che sono gli unici a volerle bene) per poi trovarsi improvvisamente principessa e (speriamo) vivere felice e contenta.

Ma comunque principessa. Chissà quale fata madrina stavano aspettando i berlinesi del 1951 e chissà che fata stanno ancora aspettando adesso… “i sogni son desideri di felicità” …

 

3 – All’ombra di Cannes e Venezia

E infatti la FIAPF (Federation Internationale des Associations des Producteurs de Films) non ci sta, solo Cannes e Venezia sono festival competitivi degni di assegnare un premio internazionale. Berlino non può avere la sua “giuria di esperti”.

La Cenerentola dei festival aggira l’ostacolo chiamando a raccolta i suoi veri amici: il pubblico, che fino al 1955 assegnerà direttamente l’Orso d’Oro al suo film preferito. E proprio nel 1955 lo vincerà per la prima volta un film tedesco, “Die Ratten”, timido segno della rinascita di una industria che a inizio Novecento ci aveva dato capolavori come “Metropolis” e che poi il Terzo Reich ha manipolato, corrotto e, come tutto il resto della Germania, infine distrutto.

4 – Il festival nella città divisa

Prima della costruzione del Muro i cittadini della Germania Est invadevano Berlino Ovest in occasione del Festival e la televisione occidentale usava la cortesia di non riprenderli in volto per non creare loro problemi una volta tornati a casa. Nel 1962 ovviamente non si possono più presentare e il Festival, in una versione tristissima, si mostra specchio amaro del mondo.

Solo nel 1974 si supera il veto imposto dal comitato direttivo e l’Unione Sovietica viene invitata a partecipare, del resto erano gli anni della politica distensiva di Willy Brandt e il cinema si propone come un messaggero capace di superare i muri.

Ed eccoci arrivare al fatidico 1989: il giorno 9 novembre il direttore della Berlinale Moritz de Hadeln, scrive a Horst Penhert, presidente del Film Bureau della Germania Est, “durante una nostra conversazione privata durante la Berlinale (…) ho suggerito di presentare il programma del festival simultaneamente a Berlino Est. La vostra reazione mi ha dato l’idea che foste veramente interessato, ma mi avete risposto che dubitate seriamente che uno di noi possa mai vedere questa cosa accadere”.

Non poteva sapere che quella sera stessa, in una caotica conferenza stampa, Schabowski avrebbe annunciato (per errore?) la caduta del Muro.

5 – Berlinale scandalosa: guerra del Vietnam, sale presidiate dalla polizia e Gina Lollobrigida contro tutti!

In una città che sta faticosamente riacquistando la propria libertà di parola, dopo le violenze del Terzo Reich e sotto l’occupazione americana e sovietica, è la politica a fare scandalo, non certo vicende da camera da letto.

Nel 1970 la Berlinale si ferma per colpa di “O.K.” un film di M. Verhoeven dedicato alla guerra del Vietnam ma girato in Baviera, in dialetto bavarese. Metà giuria lo vuole eliminare perché contravviene il precetto di promuovere l’intesa fra i popoli, l’altra metà grida “censura!”.

Il film viene ritirato dalla gara. Qualche anno dopo è sempre la guerra del Vietnam a infiammare gli animi, questa volta è “Il Cacciatore” di M. Cimino a sollevare l’indignazione della delegazione sovietica che abbandona il festival: nel film gli americani appaiono troppo simpatici, i vietnamiti troppo crudeli, per l’URSS si tratta di provocazione politica.

Nel 1986 l’Orso d’Oro viene assegnato al film “Stammheim” che racconta il processo contro i terroristi della RAF, il dibattito politico esplode e durante le proiezioni la polizia deve presidiare il cinema. Gina Lollobrigida, presidente della giuria di quell’anno, lo definisce dal palco un film brutto e strumentale dissociandosi dalla scelta dei suoi colleghi. Ma forse si trattava di un ennesimo appello alla libertà (di pensiero, critica e parola).

 

6- Porno o non porno?

Qualche scandalo a luci rosse però c’è stato. Nel 1976 il film giapponese “L’impero dei sensi” viene sequestrato da un giudice dopo la prima sold-out (ai tempi non c’era internet e le occasioni per vedere sesso sullo schermo erano più rosicate). La corte di giustizia berlinese allora sospende i suoi lavori per andare al cinema a vedere quanto porno è questo film. Una Berlino davvero lontana dalle trasgressioni degli anni Venti e dall’estetica “porn-ceptual” degli anni 2000.

7 – Teddy Award: il primo premio dedicato al cinema queer

Eppure è proprio la fama anticonformista di Berlino a convincere un gruppo di intellettuali omosessuali che questo sia il festival giusto per istituire il primo premio esclusivamente “queer” (con parole più attuali, all’epoca si diceva semplicemente “schwules”).

Nasce così nel 1987 il “Teddy Award”, che nel primo anno consegna il suo orsacchiotto di peluche a un regista allora sconosciuto: Pedro Almodovàr per “La legge del desiderio”. Oggi l’orsacchiotto non è più di pezza, ma una statuetta d’oro (un po’ ribelle, perché seduta su un sanpietrino) disegnata da Ralf Koenig, uno dei più famosi fumettisti gay del mondo.

8 – Le ombre del Terzo Reich

Nel 2020 un comitato accademico incaricato dal Leibniz Instute for Contemporary History ha riconsiderato l’attività di Alfred Bauer, storico direttore della Berlinale, durante il suo lavoro alla Reichsfilmintendanz negli anni del Nazionalsocialismo.

Nonostante il grande impegno di Bauer per imporre la Berlinale tra i maggiori festival del cinema, i suoi tentativi di minimizzare le proprie colpe (atteggiamento molto diffuso nella Germania post- bellica) alla fine sono stati smascherati e il premio “Orso d’Argento Alfred Bauer” non verrà mai più assegnato.

 

 

9 – Quanti film italiani hanno vinto l’Orso d’Oro?

Forse il più simpatico tra i premi assegnati dai grandi festival di cinema, l’Orso d’Oro mi pare anche il più pratico perché, per sua conformazione, mi sembra il più adatto a reggere i libri su uno scaffale o a tenere le penne. Ci sono ad oggi 7 Orsi d’Oro sulla libreria (o il caminetto) di qualcuno in Italia, lo hanno vinto infatti:

1961 “La Notte” di Michelangelo Antonioni
1963 “Il Diavolo” di Gianluigi Polidoro
1971 “Il Giardino dei Finzi-Contini” di Vittorio de Sica
1972 “I Racconti di Canterbury” di Pier Paolo Pasolini
1991 “La casa del sorriso” di Marco Ferreri
2012 “Cesare deve morire” dei Fratelli Taviani
2016 “Fuocommare” di Gianfranco Rosi

10 – Perché si chiama Berlinale?

Il festival del cinema di Cannes, il festival del cinema di Venezia un nome proprio non ce l’hanno, invece a Berlino il festival un nome ce l’ha, semplice, schietto, come piace qui: Berlinale. Come mai?

Torniamo al 1951, alla prima edizione del festival, quando lustrini e champagne piovono come in un sogno su Berlino e gli aerei sganciano star di Hollywood anziché bombe. Joan Fontaine è fata madrina dell’evento (ed è con il suo film “Rebecca, la prima moglie” di A. Hitchcock che si apre il festival), le strade si affollano di ragazzini vocianti che reclamano l’autografo, paparazzi, sorrisi, festa. Berlino un po’ si gasa e instituisce la sua giuria di esperti (e, come abbiamo detto, poi verrà subito bacchettata).

Tra di loro un’altra attrice, di quelle che avevano calcato i kabarett berlinesi negli anni prima della guerra, come il Die Katakombe fatto chiudere dai nazisti, e si era poi giostrata in qualche modo nel cinema di regime, Tatjana Sais. Fu lei a decidere che la cenerentola dei festival si sarebbe chiamata da lì e per sempre: Berlinale.

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