Interbau 57: un museo di architettura all’aria aperta
Chi si ritrovi a passeggiare nell’Hansaviertel, cercando magari l’Akademie der Künste o il modo più rapido per raggiungere a piedi la Siegesaüle nel mezzo di Tiergarten, non si accorgerà forse di trovarsi dentro un vero e proprio museo di architettura contemporanea all’aria aperta, firmato da 53 architetti modernisti (tra cui Gropius, Niemeyer, Alvar Aalto) durante l’Internationale Bauaustellung del 1957: il primo tentativo di ricostruzione organica e programmatica di Berlino Ovest.
Certo non ci si deve aspettare costruzioni spettacolari o magniloquenti, perché in quegli anni il problema principale era dare una casa ai berlinesi, e poi, più sottilmente, contrapporsi alla retorica intimidatoria dell’architettura nazista e, più apertamente, alla propaganda socialista che si stava incarnando nella ricostruzione di Berlino Est.
Con le parole di Karl Mahler, ministro per la ricostruzione di Berlino Ovest: “Interbau 57 è una chiara presa di impegno con l’Occidente. Mostrerà cosa qui è inteso come moderna pianificazione urbana, una dignitosa soluzione ai problemi di abitazione, in contrasto alla falsa ostentazione della Stalinallee”
Perché allora una mostra di architettura?
Nonostante non ci fosse ancora il Muro, lo status di Berlino Ovest era già quello di un’isola. La memoria del “Ponte aereo” (1948-49) era freschissima e ovviamente l’economia stentava a risorgere, visto che pochi osavano investire in una città politicamente e militarmente così complicata.
In più Berlino Ovest aveva perso il suo ruolo di capitale a favore di Bonn, e il Senato temeva una ulteriore, fatale, emarginazione culturale e sociale della città. Trasformare una esigenza (dare un tetto e un lavoro ai berlinesi) in un’occasione festosa, capace di attirare l’attenzione di tutto il mondo occidentale, sembrava proprio la classica soluzione per pigliare due piccioni con una fava.
L’Hansaviertel di Berlino era stato raso al suolo nei bombardamenti del novembre 1943, di 343 case ne restavano in piedi solo una settantina, tutte gravemente danneggiate, e nonostante ciò negli anni cinquanta c’erano ancora 4000 persone a vivere lì, accampate tra le rovine.
La zona però era convenientemente servita dalla S-Bahn ed era vicinissima al Tiergarten, che veniva piano piano ri-piantumato. Concentrare lo sforzo di famosi architetti internazionali in quell’angolo tra parco e ferrovia parve la soluzione ottimale. E anche agli architetti piacque molto la possibilità di ridisegnare un “paesaggio urbano” in senso moderno, mescolando gli edifici al verde. Del resto la call, come diremmo noi oggi, del Senato era chiara: non si trattava di ricostruire la vecchia Berlino, con i suoi blocchi di cortili malsani e le vie strette tra pesanti facciate, ma cogliere l’occasione per dare vita alla luminosa città del domani.
Grande maestro d’orchestra, capace di mettere d’accordo le esigenze del Senato, i piani degli urbanisti e le personalità, non sempre diplomatiche, dei grandi “archi-star” del primo 900, fu Otto Bartning, allora presidente della Federazione degli architetti tedeschi. A lui il merito di avere trasformato un cantiere in una delle mostre di architettura più visitate del secolo: 25 ettari da edificare, più di 1300 unità abitative, due chiese, una scuola, un teatro, una biblioteca.
E inoltre: mostre, concerti, fumetti, persino una funivia tra le gru riuscirono ad attirare nell’estate del 1957 più di un milione di visitatori, il 40% dei quali veniva (sorpresa!) da Berlino Est o dalla DDR. Anche loro curiosi di come stavano procedendo le cose “dall’altro lato del cielo” (e non potevano sapere che da lì a pochissimo li avrebbero ammazzati se tentavano anche solo di sbirciarlo, l’ovest).
La città del domani
Razionale ed elegante, efficiente e luminosa, veloce e flessibile, verde e civile: l’immagine della città moderna era stata descritta da Le Corbusier nella “Ville Radieuse” del 1935 e nella “Carta di Atene” del 1933. Quasi prevedendo la tabula rasa che la Seconda Guerra Mondiale avrebbe creato in Europa, gli architetti di inizio novecento sognavano di potere edificare una metropoli da zero, con l’ambizione non solo di migliorarne l’estetica, ma soprattutto di riformare la vita di chi ci abita. In fondo chi costruisce una città, costruisce metaforicamente anche il suo cittadino.
Il principio a cui faranno riferimento tutti gli architetti coinvolti in Interbau 1957 è quello della ripartizione del tessuto urbano in zone, ognuna delle quali risponda alle quattro funzioni della città moderna individuate dagli urbanisti negli anni 30: abitare, lavorare, muoversi e divertirsi.
In accordo alla Carta di Atene, gli spazi residenziali avrebbero dovuto occupare gli spazi migliori, garantendo una equa esposizione alla luce solare a tutte le residenze, mantenendole lontane, per motivi igienici, dalle grandi arterie di spostamento, e privilegiando le costruzioni in altezza in modo da lasciare ampio spazio per il verde tutto attorno.
I principi formatori della città rinascimentale e barocca, intesa come teatro per l’auto-rappresentazione del potere (Stato o Chiesa), sono polemicamente contraddetti, così come sono raddrizzate punto per punto tutte le storture che aveva causato la rivoluzione industriale, abbruttendo le città ottocentesche ma anche la vita di chi ci abitava. Si definisce insomma una specie di nuovo classicismo, dove ragione e bellezza si accompagnano a una visione democratica del vivere assieme. Non è un caso che tutte queste belle idee siano nate mentre gli architetti veleggiavano nei mari azzurri della Grecia.
A passeggio tra i grandi maestri del Novecento
Abituati a cercare “la monumentalità” nelle città che visitiamo, eccitati dalle proposte eccentriche degli archi-stars nostri contemporanei, potremmo restare un po’ delusi dalle atmosfere tranquille e rilassate dell’Hansaviertel, ma forse proprio in questa aura da “casa delle vacanze” va cercata la sua eccezionalità: i grandi maestri di inizio Novecento hanno scelto di partire dal basso, costruire per la gente, rinunciando a distinguere le proprie individualità: condomini, bungalow, piccole residenze dotate di grandi finestre e terrazzi sono sparpagliate in mezzo agli alberi confrontandosi “con la naturalezza di un gruppo di persone che si girano una verso l’altra mentre stanno chiacchierando” (Gehrard Jobst, vincitore del concorso per il piano di sviluppo urbanistico).
Walter Gropius, Oscar Niemeyer e Egon Eiermann (l’autore della Chiesa della Memoria) costruiscono tre grandi condomini dalla facciata ampia, adatta a ricevere il massimo della luce solare, alleggerendo la massa con i terrazzi ritmati e i pilastri che sollevano tutto il peso dal suolo (secondo la lezione di Le Corbusier).
Più massiccia la cosiddetta “Schwedenhaus” di Jaeneck e Samuelson, che sarà poi “citata” negli anni novanta da Renzo Piano in Potsdamerplatz. La chiesa protestante di Ludwing Lemmer, assomiglia un po’ a una fabbrica (“ora et labora”) e sicuramente la parte più suggestiva è la torre campanaria, con la scala a spirale attraversata dalla luce e il vento.
Il cuore del quartiere è però un edificio modesto ma elegantissimo, intorno a cui si organizza lo sviluppo urbano: la Stadtteilbibliotek di Düttmann. Tetto piatto, pareti in vetro trasparente, una corte piena di fiori selvatici, i riflessi di luce turchina che risalgono dalla piscina: sofisticati omaggi al famoso Padiglione Barcellona del mitico Mies (che, a quei tempi, non era stato ancora chiamato a costruire la Nationalgalerie).
Qui però si rivela tutto l’idealismo dei costruttori: se una delle più belle piazze di Berlino, la Bebelplatz disegnata da Federico II, è passata alla storia come la “piazza del rogo dei libri”, allora la piazza della nuova Berlino sarà proprio dedicata alla libertà, all’intelligenza, alla lettura. Bruciare libri ed opere d’arte, in spregio ai valori che incarnavano, era diventato un rituale collettivo in tutte le città tedesche. In quel fumo volava via anche il senso del vivere civile, il pensiero critico e filosofico (nel senso originale “amante della saggezza”), il dialogo tra le persone. L’invito era diventare giovani, ferocissimi lupi. Su cui ovviamente comanda però solo l’alpha.
Interbau 57 rimette al centro dello spazio urbano il suo cittadino, e lo vuole non spettatore o suddito, ma attore libero, democratico, pensante (almeno nei sogni del progettista, se non negli invisibili artigli che si stavano allungando sull’Europa anche da Ovest, traboccanti di dollari è vero, ma comunque artigli).
Richiedi il nostro Tour sull’Architettura Contemporanea
L’Hansaviertel non è normalmente incluso nel nostro Tour sull’Architettura contemporanea, ma ovviamente se vi incuriosisce scoprire con noi questo angolo di città dove si sono realizzate le utopie del Modernismo e dove ri-comincia da zero la storia unica di Berlino Ovest, dovete solo chiederlo. Con enorme piacere cambieremo un po’ i nostri percorsi per accompagnarvi in questo museo senza tetto.
Dimenticavo! Ho spesso citato in questo articolo il nome di Le Corbusier, che non fu solo nume tutelare della mostra di architettura, ma vi partecipò attivamente con la sua Unità di Abitazione (Tipo Berlino): la più grande costruzione realizzata durante l’Interbau 57 dall’architetto più famoso. Ma siccome Berlino è una città che ama confondere non si trova all’Hansaviertel, ma in Flatowallee, a fare contrappunto allo Stadio-Tempio del Terzo Reich, Olympia.