Bandiere in Terrazza – Le Corbusier a Berlino
LE CORBUSIER A BERLINO
Girando intorno alla magnificente architettura dell’Olympia Stadion (perché solitamente, in questa zona, questa si va a visitare), spicca a sorpresa, poco lontano, un gigantesco monolite in apparenza monocromo e grigio. Tutti i visitatori si domandano cosa sarà mai, cosa ci fa lì, in mezzo al verde, non lontano dai binari. Richiama nel rigore e monumentalità razionalisti quasi il vicino Stadio Olimpico.
Per avvicinarsi e mettere a fuoco la forma, bisogna oltrepassare la stazione della S-Bahn, che prende il nome dallo stadio del periodo del Nazionalsocialismo. Solo così si può scoprire che si tratta di un edificio, per giunta abitato e per nulla grigio. Le terrazze sembrano fasce colorate, gialle, rosse, azzurre, verdi, nere, bianche. “Non sono un omaggio alle bandiere degli stati“, ho risposto una volta ad un piccolo ospite, entusiasta della visita allo stadio, ma bensì un tocco di colore, vuoi pure studiato, all’enorme facciata in cemento armato.
LA RICOSTRUZIONE DI BERLINO E LO SPERIMENTALISMO ARCHITETTONICO
E’ conosciuto come Unità di abitazione Typ Berlin e l’architetto che lo ha realizzato è così famoso da essersi potuto permettere di sperimentare una tale tipologia abitativa anche nella capitale tedesca. E’ stato un architetto svizzero, attivo in Europa ed oltreoceano, riconosciuto a livello mondiale dagli anni Venti fino agli anni Sessanta del Novecento, noto con lo pseudonimo di Le Corbusier. Il suo progetto, realizzato tra il ‘56 e ‘57, ha dato e dà tuttora un tetto a circa 1.800 abitanti. Fatte le debite proporzioni, è come se un intero paesino vivesse all’interno di questa costruzione, su una superficie poco minore del campo da calcio limitrofo.
Altri tempi gli anni Cinquanta in Europa, figurarsi a Berlino, divisa tra Est ed Ovest. Storicamente immersa nel secondo dopoguerra, la città all’epoca è un’enorme forma di groviera a causa delle bombe.
Ad Est, la Repubblica Democratica Tedesca (DDR) si rimbocca subito le maniche (per la precisione saranno i cittadini a rimboccarsi le maniche, offrendo il proprio contributo e tempo libero per ricostruire palazzi e strutture pubbliche), e nel 1951 si inaugura un nuovo piano di sviluppo: il NAW, Nationale Aufbauwerk, che tradotto suona come Piano di Costruzione Nazionale. Il ricordo più significativo di questo intervento è il lungo viale intitolato a Stalin, più tardi a Karl Marx, e la serie di armoniosi edifici di richiamo neoclassico.
Berlino Ovest non si tirerà indietro e risponderà qualche anno più tardi in altro modo.
Siamo tra il 1956 e 1957 e si realizza la Fiera Internazionale di Architettura (Interbau 57, oggi meglio nota come IBA, Internationale Bauaustellung Berlin). 53 architetti giungono a Berlino Ovest per progettare e costruire un pezzo di città, andato distrutto sotto i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale: il quartiere noto come Hansaviertel, a nord del Tiergarten. Nell’ovest della città il dibattito è acceso: come progettare, come ricostruire, cosa offrire ai cittadini: un semplice tetto e quattro mura, una filosofia architettonica concretizzata, un modello sociale?
Tra i grandi maestri invitati ci sarà anche Le Corbusier, che proporrà il “grande alveare”, già sperimentato in Francia, a Marsiglia. Una cittadella verticale fornita di tutto: servizi e negozi, attrezzature sportive, cinema e lavanderia. Tutto quello che è necessario per favorire la socializzazione e lo sviluppo di sentimento di collettività. Purtroppo però, come spesso può accadere in architettura, al momento della costruzione il progetto subì alcune modifiche che portarono all’esclusione proprio delle strutture sociali e dei servizi, e alla realizzazione in periferia, accanto allo stadio. Ancora oggi si può però far visita al grande gigante.
Al piano terra c’è una mostra permanente e materiale dell’epoca ci riporta ad immaginare l’entusiasmo con cui venne accolto il progetto, a conoscere le storie delle famiglie che vi si trasferirono. Si può vedere qualcuno prendere l’ascensore e scomparire dietro una porta colorata di un lunghissimo corridoio, bambini giocare e auto parcheggiare. Nonostante sia andato perduto lo scopo dell’edificio, quello di accogliere e creare una piccola società su una superficie verticale, quella che vive all’interno è una società multietnica e il piccolo cliente dello stadio forse a pensarci bene, aveva capito tutto.